“Sulla radice culturale dei popoli nel film ‘La Grande Bellezza’ di Paolo Sorrentino”

Category: Semantica delle Arti Visive,

LA SETTIMA ARTE, Rubrica di Critica Cinematografica a cura di Rita Mascialino in 'Lunigiana Dantesca', CLSD Centro Lunigianese di Studi Danteschi

"Sulla radice culturale dei popoli nel film 'La Grande Bellezza' di Paolo Sorrentino"

di Rita Mascialino

Nell’analisi semantica del film La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino (Mascialino 2021: «Lunigiana Dantesca», N. 171, ) è emerso, tra i diversi importanti temi, come l’arte antica sia la più profonda espressione delle radici dell’identità dei popoli, nella fattispecie dei popoli della latinità, del popolo romano, italiano. Si tratta di arte che all’epoca era armoniosamente unita al mondo degli dei, dei quali era presidio nelle varie specialità. In particolare nel film le radici di tale identità vengono collegate a Vulcano, divinità cui Sorrentino riserva spazio centrale nell’episodio relativo al personaggio di Stefano, quasi un doppio del dio per qualche aspetto importante. Pare che questo dio fosse tra i più antichi della mitologia romana, alcuni studiosi lo indicano come il padre di Giove stesso, ossia pare che la sua comparsa precedesse gli dei del Pantheon romano, in ogni caso è divinità la cui origine si perde nella notte dei tempi ed è nota come divinità arcaica latina, romana. Particolarmente interessante è il fatto che Vulcano, tra le varie attività di cui era il riferimento, fosse il dio della scultura, arte risalente a un’arcaica preistoria ed è appunto quest’arte che contrassegna a livello visivo il volto più peculiare dell’antica Roma. All’analisi sopra citata, cui si rimanda per tutti i dettagli, si aggiungono qui alcune riflessioni finalizzate a sviluppare il concetto di identità dei popoli in seno al messaggio di Sorrentino come è emerso dal suo film.

Il dato più rilevante su cui vertono queste riflessioni è quello concernente gli dei precristiani e l’arte antica considerati la radice della cultura romana, italiana – tralasciamo le inevitabili influenze reciproche tra i vari popoli, che non costituiscono radici. Una prospettiva che ha qualche punto di contatto con il pensiero Romantico tedesco, precipuamente dei fratelli Schlegel. Questi, pur massimi cultori della classicità greca o proprio perché tali, avevano individuato le radici dell’identità di ciascun popolo nell’antica cultura di appartenenza, diversa da quella greca che era la cultura di appartenenza dei greci, ciò in un auspicato e anche necessario ritorno alle origini libere dalla longa manus greca – e latina – che, stupenda per equilibrio ed estetica, non corrispondeva tuttavia a quella degli altri popoli, come fu esposto nella rivista Athenäum (1798-1800) fondata e diretta dagli stessi Schlegel e che era valsa come vero e proprio Manifesto del Romanticismo in Europa. Anche Sorrentino vede, appunto un po’ romanticamente, nella cultura dell’antica Roma le radici culturali del popolo italiano come originali in sé al di là di esistenti influssi soprattutto greci, influssi tuttavia ricreati nello spirito originale di Roma. In ciò, come nell’analisi e più sopra, Sorrentino prende specificamente come punto di riferimento Vulcano, dio della scultura, identificato in seguito con Efesto, entrambi divinità del fuoco sotterraneo nei relativi territori notoriamente a forte attività sismica e vulcanica, ma di origine diversa.

Nel film di Sorrentino, parallelamente al tema delle radici a monte dell’identità del popolo italiano, spicca il dato di fatto che non compaia l’arte cristiana pur così imponente nella cultura italiana sviluppatasi sotto il trascorso dominio politico-religioso della Chiesa. Il fatto è che Sorrentino situa le radici più antiche del popolo italiano in epoca precristiana, con antichi dei e miti, nonché antica arte della scultura nella Roma per così dire pagana, precedente al pur lungo e vasto regno della Chiesa. Sorrentino, secondo quanto sta nel suo film, scavalca per così dire la religione e l’arte cristiana quali possibili radici identitarie del popolo italiano, e implicitamente di altri popoli, arte e religione cristiana cui Sorrentino nel film non attribuisce qualità di radici della cultura italiana né europea, né dei popoli tout court. È anzi la religione cristiana stessa, oltre che a derivare dalla religione giudaica, ad avere, nel film, radici precristiane, ciò in una lontana, ma percettibile eco, e comunque le radici amare della Chiesa cui accenna il Cardinale in una delle sue molto simboliche ricette sono altre. Una nota brevissima su tali radici precristiane a monte della religione cristiana stessa nel contesto del film – senza qui minimamente addentrarci nell’origine della religione ebraica. Precristiano è il simbolo del coniglio, animale emblema della fertilità, anche della lascivia tra l’altro. La Chiesa, come di prassi, si appropriò di tanti simboli precristiani cui diede significato cristiano: Sant’Ambrogio (Treviri 339 d.C. – Milano 397 d.C.), nella fattispecie, fece del coniglio un’allegoria della Resurrezione e parallelamente di Cristo stesso venuto a portare la Resurrezione all’umanità, questo basandosi sul fatto che il colore della pelliccia dell’animale cambi stagionalmente da fulvo a bianco come se subisse una rinascita o resurrezione in un colore per altro indicante purezza e purificazione – bianco anche come colore del sudario allusivo della morte di Cristo seguita poi dalla Resurrezione. Ricapitolando: nella ricetta del Cardinale relativa al coniglio arrosto e nella citazione della ricetta dell’agnello – animale sacrificale in seno a molte religioni precristiane pervenuto poi anche alla festività pasquale cristiana –, si fa avanti la possibilità per le radici della religione cristiana di essere esse stesse precristiane. Con riferimento all’analisi sopra citata: il coniglio tagliato in dodici pezzi allude ai dodici Apostoli e nelle tre frattaglie di testa, fegato e reni vi è l’allusione alla Trinità dove, nella successione in cui sono nominate le frattaglie e in cui si recita il Padre Nostro, lo Spirito Santo risulta prodotto di scarto dei reni – ricordiamo al proposito il fastidio del Cardinale a parlare di spiritualità con Gambardella – senza contare la rosolatura allusiva dei roghi, come già nella precedente ricetta dell’anatra arrosto. Dunque in tale ricetta il coniglio in sé ha una triplice valenza: è un simbolo di derivazione precristiana; è un simbolo divenuto cristiano per la Resurrezione e allegoria di Cristo stesso; è un’allusione piuttosto diretta all’impudenza del Cardinale in odore di elezione papale, il quale pare molto evidentemente non avere rispetto per i cardini della fede religiosa che pure rappresenta, né per gli Apostoli, né per la Trinità, né per Cristo stesso, né addirittura per Cristo prossimo alla condanna a morte. Il Cardinale di Sorrentino presenta soddisfatto ai commensali il suo coniglio arrosto con l’esclamazione Ecce coniglio, collegabile all’Ecce homo evangelico, anche all’Ecce agnus dei. In altri termini: il prelato mostra di non rispettare troppo gli stessi principi che, quando deve, predica, ma in realtà pare irridere senza paura. È vero che da sempre ci sono Madonnine e agnelli di zucchero, lepri e conigli pasquali di cioccolata e simili, tuttavia è nell’ambito della ricetta – delle ricette – che la cosa diventa irridente, piuttosto sfrontatamente, è il Cardinale a farla diventare tale nella simbologia e nel modo di porla ai convitati. Le radici della Chiesa hanno dunque nel film arcaica origine come nella trasformazione cristiana dei simboli precristiani, nella preistoria, in un passato oscuro, più recentemente, nel passato cosiddetto oscurantista, tenebroso, come nella simbologia relativa alla retromarcia della macchina nera che trasporta il Cardinale dal nome significativo e nel tentativo di rendere meno amare le radici stesse di nuovo in una ricetta del Cardinale, un cibo da raccomandare ai fedeli – per i dettagli in proposito si rimanda all’analisi citata. Qui in queste riflessioni, la retromarcia, semanticamente parlando, si collega per altro anche, molto sottilmente, ma coerentemente, alla presenza del busto di Gustavo Modena, il patriota risorgimentale, la quale elimina ogni dubbio, se ce ne fosse bisogno, sul significato della retromarcia della macchina del Cardinale, come vedremo subito.

Soffermandoci dunque sul tema delle radici del popolo italiano e implicitamente delle radici di ciascun popolo, esse non riguardano dunque in nessun caso radici cristiane che nel film non compaiono, bensì riguardano radici precristiane della Roma antica per l’Italia – di fatto il dominio della Chiesa viene molti secoli dopo quello degli dei romani nella Roma antica, molto tempo dopo la presenza di Vulcano quale possibile divinità più antica e protettrice dell’antichissima arte della scultura. Si tratta nel film, quanto a radici, specificamente di una presentazione delle radici dell’identità del popolo italiano scevre dalla dominazione ecclesiastica, sottolineata nell’inquadratura riservata, all’inizio del film, al busto di Gustavo Modena (Venezia 1803 – Torino 1861), opera dello scultore Carlo Lorenzetti (Roma 1934) esposta sul Gianicolo. Si tratta dell’ardente patriota, propagandista più o meno clandestino delle idee repubblicane di Mazzini, saggista e scrittore di opere letterarie, soprattutto per il teatro dove fu attivo anche come attore, fattosi infine seppellire nel cimitero acattolico (Enciclopedia Treccani), ciò in un tenace rifiuto della religione cattolica, del dominio della Chiesa cattolica sull’Italia. L’inquadratura specifica del suo busto sul Gianicolo si mette coerentemente, per quanto indirettamente, in relazione con le radici non cristiane dell’Italia oltre che direttamente con la lotta risorgimentale dell’Italia contro il dominio straniero, con la lotta di liberazione dal dominio ecclesiastico. In altri termini: il citato busto di Gustavo Modena sta a memoria delle Guerre di Indipendenza dell’Italia, la sua sepoltura è un simbolo ad oltranza contrario al dominio della Chiesa che perse i territori da essa governati appunto ufficialmente con il Risorgimento.

Proseguendo, Suor Maria parla delle radici che sarebbero importanti, radici di cui essa si nutre e di cui nulla dice in particolare, ma che si potrebbero supporre cristiane data la sua appartenenza a un ordine monastico inserito nella Chiesa. Occorre evidenziare che non si tratta di radici di un’unica pianta, bensì che si tratta di una quarantina di grammi di radici di piante, un plurale, quindi più piante diverse. Si tratta di un numero metaforico che potrebbe indicare un numero simbolico della pluralità dei popoli europei che sarebbero una cinquantina e che soprattutto è un numero dai molteplici significati biblici. Tra l’altro è riferibile al biblico diluvio universale che durò quaranta giorni, significato associabile spazialmente all’acqua battesimale – grande pioggia nel diluvio e piccola pioggia o aspersione nel battesimo – vista in Sorrentino verosimilmente come un diluvio di origine religiosa, giudaica in particolare, distruttivo di ogni radice diversa precedente al diluvio-battesimo stesso. In ogni caso Suor Maria non sostiene una radice su tutte le altre, ossia non vi è neanche per Suor Maria un’unica radice propriamente cristiana – come la Chiesa avrebbe voluto e anche vorrebbe fosse riconosciuta nella costituzione dell’Europa dei popoli. Inoltre, ricordando l’analisi citata: Suor Maria, pur cristiana e cattolica in particolare, non si rivolge mai al Cardinale, il quale pure non si rivolge mai a lei in una possibile conversazione, ed in aggiunta dà un calcio a distanza a un rappresentante ecclesiastico – porta nel pastorale una croce identificabile come tale seppure inquadrata brevissimamente e di taglio, ossia neanche la Suora vuole una radice cristiana sovrapposta a tutti i popoli che, pur battezzati, hanno radici culturali diverse che devono mantenere. Al proposito i fenicotteri provvisti di nome di battesimo alludono molto chiaramente al Cristianesimo in quanto sono appunto battezzati, ma non alludono alle radici dei popoli, alludono a qualcosa che viene molto dopo le radici, il battesimo viene molti secoli dopo Vulcano – non occorre ricordare l’Editto di Costantino nel 325 a Nicea in Asia Minore, oggi Turchia, e l’Editto di Teodosio nel 381 a Costantinopolis, oggi Istanbul, che prepararono il passaggio dall’Impero romano pagano, ufficialmente caduto nel 476, al potere politico cristiano a Roma, in Italia. E per altro tali volatili battezzati non sono originari di Roma e solo sono di passaggio in una pausa di riposo nella città durante la loro migrazione, Suor Maria stessa li invita molto gentilmente a lasciare Roma per andare altrove, ad Ovest come dice il suo assistente, comunque non li invita a restare nella Capitale d’Italia. Sono fenicotteri che provengono da altre parti. Il fenicottero minore, rosaceo, è originario dell’Africa nella zona del Kenya e della Tanzania tra le altre – e sono presenti anche nell’Europa meridionale e in Asia. Tali fenicotteri, piuttosto deboli vista la tinta pallida, bianca, di fatto mangiano i resti della cena a casa di Gambardella – ribadendo, sono a Roma di passaggio verso l’Ovest, ossia provengono da altre parti, anche dall’Oriente – emigrano altrove invitati a partire dalla stessa Suor Maria. Per chiarire: non vengono affatto negati da Sorrentino il cristianesimo e la sua grande influenza sui popoli, viene solo chiarito come il cristianesimo e il suo pur vasto influsso non costituiscano la radice dell’identità del popolo italiano e neanche quella degli altri popoli europei, degli altri popoli tout cour le cui religioni già esistevano prima che sorgesse la religione cristiana e che avevano la loro cultura autoctona, ossia la religione cristiana viene presentata come religione giovane, non come antica radice. Questo secondo quanto sta nel film di Sorrentino: esplicitamente, implicitamente, consapevolmente, anche nell’eco inconscia.

Nella presentazione di Sorrentino relativa alle radici dell’identità del popolo italiano l’arte, soprattutto la scultura dell’antica Roma e l’antica cultura romana, latina, con Vulcano dio dell’arte e della scultura, fabbro straordinario degli dei e gioielliere dall’insuperabile estetica, sono poste dunque – in un vero capolavoro artistico ed entro coordinate dalla più solida coerenza – al centro delle origini della cultura italiana: a ciascuno il suo insomma. Implicitamente, come accennato, viene riconosciuta anche la diversa radice culturale di ciascun popolo. Ribadendo, Sorrentino presenta il tema delle radici autoctone dei popoli, ricordiamo che i fenicotteri sono battezzati, ossia sono sì cristianizzati, ma non costituiscono nessuna radice cristiana in ambito romano o latino o altro di simile. Nessuna cultura dunque, nel film di Sorrentino, ha diritto di prevalere sull’altra, ciò in ossequio al più fine concetto di democrazia, ossia non è auspicabile né deducibile nel film di Sorrentino nessun tipo di globalizzazione intesa come perdita o riduzione delle identità e sovranità di ciascun popolo, globalizzazione intesa come prevalenza dell’identità di un popolo o più popoli sulle altre, ciò con cui, implicitamente, non viene riconosciuta neppure alcuna radice cristiana dell’Europa.

Un film, La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino, oltre che bellissimo e straordinario come opera della Settima Arte, dai messaggi molto audaci specialmente per l’epoca attuale che tende alla globalizzazione da una o l’altra parte che sia. Tutto ciò ben diversamente da quanto, ad esempio, i sedicenti critici tedeschi citati nell’analisi semantica del film hanno pubblicato nei giornali tanto importanti di loro pertinenza, mostrando così a perenne memoria del loro modo di fare critica cinematografica di non avere capito nulla di questo culturalmente molto importante, complesso, profondo e, va ribadito, artisticamente bellissimo film di Sorrentino.

Rita Mascialino