Sulla semantica intrinseca alla sintassi

Category: Psicologia e logica dei popoli,

"Sulla semantica intrinseca alla sintassi"
di Rita Mascialino

Morfologia e sintassi, ossia grammatica, nonché organizzazione del lessico e in primis fonetica e fonologia, l’insieme dei suoni prodotti secondo determinati accenti tonici e ritmi piuttosto di altri, contribuiscono ad esprimere attraverso la loro semantica la personalità dei popoli, degli individui parlanti una o l’altra lingua materna o madrelingua nelle quali consiste la prima programmazione ambientale importante che il cervello apprende e applica dalla nascita dell’individuo, iniziando appunto dai suoni e dai loro significati. Il molteplice intreccio tra genetica e madrelingua quali filtri imprescindibili dell’esperienza è quanto differenzia l’identità psicologica e logica dei popoli – interessante per gli effetti sulla personalità è anche il bilinguismo, ossia l’apprendimento di due per così dire lingue madri contemporaneamente e parallelamente, anche la diglossia, ciò di cui tuttavia qui non ci occupiamo (Mascialino 1996 e segg.).
Prima di soffermarmi in particolare sulla sintassi o struttura o costruzione dell’espressione del pensiero di qualsiasi tipo propria di ciascuna lingua materna o madrelingua accenno ancora ad alcune peculiarità di ordine generale intrinseche ai linguaggi di parole. Le lingue costituiscono – assieme al DNA che tutto memorizza e distingue dalle origini e per sempre – il più grande magazzino per la più antica memoria preistorica e storica dell’umanità come usi e costumi pratici e mentali, comportamenti, visioni del mondo, ossia come memoria dei modi di pensare, affrontare e capire l’esperienza, qualsiasi esperienza, ossia tutta la vita comprensiva anche della morte. Un magazzino di spazialità dinamiche in cui i Primati già da epoche prive di parola linguistica e prima ancora altri animali hanno comunque lasciato il loro segno quali esperienze della vita precedenti all’espressione linguistica – con i due volti inconsci e consci –, ossia quali radici profonde del successivo linguaggio le quali si perdono nella notte dei tempi, ma che sono sempre presenti e, per il possibile, identificabili. Per chiarire: radici memorizzate nella vita di animali non parlanti, soprattutto esperienze dei Primati antropomorfi quali parenti a noi più stretti e vicini, ma anche di animali a noi più lontani quali tra gli altri gli importantissimi rettili a quattro zampe il cui cervello vive nel nostro cranio con gli arcaici programmi della vita rettiliana, senza parola, ma indispensabili alla nostra sopravvivenza (MacLean 1976 e segg.), ossia senza i quali non potremmo esistere o cesseremmo di esistere immediatamente – per non retrocedere oltre nell’evoluzione delle varie forme di vita tra il molto altro con gli anfibi, i pesci, i cordati ed emicordati o enteropneusti e oltre fino a giungere all’inorganico, al non vivo, alla più antica memoria del DNA relativa agli elementi chimici senza vita codificati nelle nostre cellule, senza la quale memoria pure non ci sarebbe stata la vita. Le lingue comunque, secondo la direttrice evoluzionistica, mostrano di avere una memoria della vita, della cultura, retrocedendo a grandissime linee: storica, preistorica, arcaica, ribadendo: memoria che in gran parte diventa più inconscia man mano che le esperienze si allontanano fino a farsi antiche e arcaiche, sommerse nell’oblio sempre più intenso, ma non eliminate dall’ambito linguistico inconscio dalla base sommersa dell’iceberg per così dire.
Dopo il cenno di ordine molto generale che vale per delimitare per quanto approssimativamente una delle prospettive rilevanti in cui si pone il tema specifico della Rubrica Psicologia e logica dei popoli (OceanoNews), ho considerato in questo studio per una esemplificazione di quanto testé asserito una comparazione tra le strutture del tedesco e dell’italiano, come esempi di sintassi linguistiche chiuse e aperte rispettivamente, la sintassi come ossatura, scheletro della personalità fatta di tratti psicologici e logici, estetici, consci e inconsci come più fondamentali componenti caratterizzanti o connotanti i linguaggi.
La lingua tedesca ha conservato, come ormai unica in tutte le lingue germaniche: islandese, faroese, norvegese, svedese, inglese, danese, olandese – tranne sparse memorie rimaste in alcune di queste lingue – una struttura antica, quella che pone il verbo in fondo alla frase dopo tutti gli eventuali complementi, anche nella frase principale per quanto concerne il participio passato, l’infinito e le eventuali particelle verbali separabili. Tale tipo di sintassi, a tenaglia come l’ho definita, è una caratteristica che fa del tedesco una lingua oggi alquanto particolare rispetto alle altre lingue presenti in Europa e a non poche ulteriori lingue presenti nel mondo che hanno da tempo anticipato i verbi nelle frasi principali e secondarie, costruzione SVO, Soggetto, Verbo, Oggetto, mentre il tedesco mantiene una struttura delle secondarie definibile come SOV, Soggetto, Oggetto, Verbo o parti verbali e solo al verbo coniugato a modo finito della principale riserva il secondo, inamovibile posto. Per fare un esempio attuale, qualcosa di simile, in sedicesimo, si trova ancora qui e là nei dialetti o usi linguistici anche del Meridione italiano: la più stretta e più lunga vicinanza al latino, lingua romanica di derivazione indoeuropea anch’essa, la quale fa ampio uso dei verbi alla fine del periodare, ha fatto conservare, in qualche caso come anticipato, la costruzione non frequente, ma utilizzata quasi come vezzo ormai, di rado con il verbo in fondo: Montalbano sono in luogo di Sono Montalbano come si direbbe assolutamente nel Nord Italia.
Venendo alla motivazione per la quale il verbo dall’ultimo posto sia andato nei primi posti delle frasi, Evelyn Frey (1994) dà affidabilità, in particolare tra varie teorie a disposizione, a una teoria di linguistica tra le più accreditate, secondo la quale l’anticipazione dei verbi al secondo posto nelle frasi principali e secondarie in generale sarebbe dovuta ai mutamenti degli accenti tonici nella frase. In altri termini: variazioni di intonazione nella sintassi delle lingue avrebbero anticipato il verbo finito della principale oltre che della secondaria dall’ultimo posto della frase al secondo posto dopo il soggetto o comunque ai primi posti, questo tranne piccole ininfluenti varianti. Certo, le – complicatissime – variazioni di accento nel periodare sono evidentemente un’oggettiva motivazione rilevante del citato spostamento. Non danno però ragione del perché si sia verificato lo spostamento dall’ultimo posto agli inizi delle frasi. Bisogna di fatto chiedersi e capire come mai sia accaduto questo spostamento di accenti, ciò che non è chiarito sufficientemente nella teoria in questione e nelle altre affini. Do qui quella che mi appare come la motivazione primaria di tale spostamento che sembra presentarsi come tendenza allo spostamento in questione nelle varie lingue. Sappiamo dalla riflessione logica che le parole articolate dall’antica scimmia che iniziava a parlare, dovevano essere per forza relative ai sostantivi e accompagnate da indicazioni appunto di un arto superiore verso l’oggetto rozzamente espresso con un suono o insieme di suoni o ancora vocalizzazioni. Dopo tempi lunghissimi, difficili da localizzare cronologicamente nei milioni di anni, la semplice accumulazione di sostantivi pur in successione logica o quasi logica, compresa e utilizzata dal gruppo, non poteva più bastare nel progresso per così dire tecnologico della società. A questo punto, da ultimo nella serie semantica, compare il verbo che indica in astratto l’azione necessaria a una comunicazione più esatta e avanzata, più agevolmente e rapidamente comprensibile. Il verbo compare dunque, in generale o comunque in vari idiomi facenti parte dell’indoeuropeo, che qui ci riguarda, come ultima componente dell’espressione linguistica, posizione durata per lunghissime epoche. Nel continuo, anche se lentissimo, prosieguo dell’evoluzione tecnologica in tempi antichi, è derivata la necessità del più funzionale collocamento del verbo subito ai primi posti delle frasi, così da comprendere al meglio e quanto prima il significato della comunicazione.
Venendo alla comparazione dell’italiano con il tedesco, balza all’occhio come l’italiano anticipi – senza rigide collocazioni – i verbi, se non sempre al secondo posto, nei primi posti delle frasi in una sintassi o struttura del periodare che definirei aperta, apertura estensibile, per così dire in un’iperbole, all’infinito. Per chiarire: se un parlante l’italiano dimentica di dire un oggetto o l’altro comunque appartenente a quella ideazione concettuale, può aggiungerlo quando voglia e anche in un’altra frase in quanto la struttura aperta – o a piovra come l’ho definita io a proposito dell’italiano – lo consente agevolmente. Al contrario nel tedesco i verbi chiudono le secondarie stando tutti all’ultimo posto e nella frase principale dichiarativa, a parte il verbo coniugato a modo finito che sta ferreamente al secondo posto, le ulteriori parti verbali come le particelle separabili o i participi passati e gli infiniti eventuali stanno alla fine della frase chiudendola. A livello logico e psicologico deriva da ciò che l’organizzazione dell’eloquio in tedesco – per altro in successione rigida dei complementi impostata all’espressione della maggiore chiarezza delle idee – raggiunga vertici di precisione concettuale di tutto rilievo – un tedesco non può, finora e per ora, infrangere le regole fisse della costruzione della frase nella quale non può mettere i complementi dove voglia, ma li deve mettere dove debba secondo uno schema fisso o nella quasi totalità dei casi fisso. La costruzione a scatola cosiddetta o attributiva è un gioiello di perfezione logica sintattico-semantica come analizzeremo in altro studio. Nella lingua
italiana la struttura aperta e anche intrecciata di frase dentro frase, ciò che in tedesco è possibile solo con le incidentali o le relative ove non sia possibile collocarle dopo la fine di altre frasi, esprime una minore accuratezza sul piano logico con maggiore possibilità di errore tra l’altro, ma consente una maggiore dose di improvvisazione, di intuizioni, di concetti che possono venire in mente in secondi momenti più agevolmente dato il tipo di costruzione aperta. È come se la lingua italiana e con essa la mente italiana avesse una via privilegiata verso il livello inconscio, verso la spazialità immaginifica dell’inconscio, giacimento di creatività. Così la struttura chiusa e la struttura aperta corrispondono, per parte loro, a personalità molto diverse nei due popoli: da un lato la precisione logica e la capacità organizzativa fino alla più ossessiva pedanteria, dall’altra la più libera intuizione a spese dell’attenzione alla precisione del dettaglio, anche logico, e della capacità organizzativa per citare solo caratteristiche molto generali logiche e psicologiche facenti capo rispettivamente alle due strutture. Psicologicamente, risulta più tranquillamente affrontabile la presenza della struttura aperta dell’italiano, dove il parlante dice le parole secondo ciò che gli viene in mente secondo più libere associazioni intuitive senza obblighi strutturali da rispettare ab origine, ciò che bloccherebbe in parte non piccola appunto all’origine la potenzialità intuitiva, mentre la struttura chiusa del tedesco improntata alla più rigida logica nelle successioni dei concetti non lascia scampo all’intuizione e all’improvvisazione che vengono trascurate per il possibile, potremmo dire anche alla creatività dell’individuo, del popolo, che lascia la preminenza alla logica, adattissima allo spirito tecnico, ovviamente con gli intuibili pro e contra relativi ai due modi di vedere il mondo.
Per concludere il breve discorso sulla semantica della sintassi: forse gli italiani mancano di logica e i tedeschi mancano di intuitività? Certamente no, è ovviamente possibile anche in italiano esprimere la più perfetta logica, anche la lingua tedesca poggia inevitabilmente sulla base intuitiva dell’esperienza, tuttavia nelle due culture in proporzioni diverse. In generale, come l’elasticità della sintassi italiana mostra, non sta al primo posto la capacità organizzativa che deve poter disporre di una più intensa ed esplicita obbedienza alle leggi logiche, in compenso la via verso il livello intuitivo non è per così dire frenata dalla compagine logica ed è possibile la comunicazione con il livello inconscio più profondo, anche artistico, con molto maggiore agevolezza e rapidità. Sempre in generale, la sintassi tedesca mostra una certa maggiore difficoltà nel pescaggio dall’inconscio più profondo dell’intuitività, questo a vantaggio dell’enfatizzazione del particolare tecnico, dell’esattezza delle costruzioni tecniche, dell’organizzazione delle azioni di qualsiasi tipo.
Tutto ciò solo come cenno ad alcune caratteristiche inerenti al problema della semantica della sintassi.

Rita Mascialino

(ritamascialino.blogspot.com)