“The Brave One di Neil Jordan”

Category: Argomentazioni in Primo Piano,

"The Brave One di Neil Jordan"

di Rita Mascialino

The Brave One o Il buio nell’anima (2007), film del regista, sceneggiatore e scrittore irlandese Neil Jordan (1950 Sligo) condivide il titolo del film con The Brave One (1956) diretto da Irving Rapper (Londra 1898-Los Angeles 1999), con cui non ha niente a che fare a parte la condivisione del titolo, per chiarire: non si tratta di un remake, il protagonista in Rapper non fa il giustiziere, bensì ha uno speciale rapporto con un toro – vedi il titolo italiano La più grande corrida.

Il film di Jordan è stato giudicato in generale o comunque non proprio di rado dalla critica come poco riuscito, anche banale per la morale, di antica origine, anche biblica, dell’occhio per occhio dente per dente che gli si ascrive. Al contrario in questo studio si ritiene sulla base di un’analisi semantica oggettiva che i giudizi negativi siano dovuti in gran parte a considerazioni riguardanti solo il problema della giustizia fai da te senza tenere conto delle sue articolazioni contestuali, né del molto altro che il messaggio filmico contiene. Vediamo di fatto come argomento di primissimo impatto sia il diritto o meno del cittadino di farsi giustizia da sé, un argomento di lunga e spesso di poco profonda memoria cinematografica. I temi sottostanti a quello che cattura subito l’attenzione, non esplicito come quello relativo ai giustizieri, riguarda in linea generale e in diverse angolazioni, una critica piuttosto radicale all’interpretazione che pare essere stata data ai principi basilari della democrazia subentrata ai regimi assolutistici dopo la Seconda Guerra Mondiale e comunque tipica dell’attualità. I concetti che informano i regimi democratici non vengono discussi esplicitamente, tuttavia attraverso una tenace ramificazione implicita costituiscono il solido substrato delle problematiche su cui si imposta il messaggio del film. L’argomento stesso dei vari giustizieri della notte è reso comunque fuori dalla norma e del tutto attualizzato dato che si tratta di una giustiziera donna, non di un maschio che uccide per vendicare torti subiti, ciò cui tutta la cultura umana è in un modo o nell’altro abituata da sempre, mentre la giustiziera presenta un più moderno profilo della personalità femminile che appare nuovo per tanti motivi condivisibili o meno. Per ribadire: questo film pone sul tavolo o fa emergere idee di un tipo e di un altro lasciando per altro aperti i giudizi e le opinioni di ciascuno, non sostiene direttamente un’idea sulle altre, come vedremo in dettaglio.

Quale introduzione al significato di questo interessante e anche audace film – che, insistendo: non si pone solo nella scia dei consueti giustizieri – diamo un chiarimento di ordine semantico al rilevantissimo quanto intraducibile titolo e ai nomi scelti per i personaggi principali in quanto essi implicano per alcune sostanziali prospettive non poche impostazioni ideologiche che si trovano rappresentate nel film. Per altro spesso importanti autori letterari e cinematografici scelgono i nomi dei personaggi con la massima cura relativamente a quanto possono significare in corrispondenza a tratti centrali della loro personalità, a idee che vogliono esprimere a livello più implicito per come ciò viene esposto nelle loro opere. Tra gli altri un grande rappresentante di tale tecnica diegetica è Franz Kafka, sempre attentissimo agli eventuali nomi che dava ai protagonisti delle sue opere.

Partendo dalla semantica intrinseca al titolo, essa risulta particolarmente rilevante per vari temi facenti parte del complesso messaggio implicito, l’ambito più interessante rispetto a quello esplicito: la presentazione di un possibile volto nuovo della donna rispetto alla tradizione femminile, anche di un volto altrettanto nuovo maschile come vedremo con i dovuti dettagli dimostrativi, un duplice volto che appare come una delle possibilità, controcorrente, per i due generi e quindi per la società nella sua evoluzione nei tempi. Dunque, in inglese The Brave One non si riferisce né a un maschio, né a una femmina: l’articolo determinativo the in questa lingua è identico per tutti i generi maschile, femminile e neutro e tutti i numeri, singolare e plurale; lo stesso dicasi per gli aggettivi, nella fattispecie brave, coraggioso-a-i-e, i quali hanno un’unica forma invariata per tutti i generi e numeri; anche per il pronome indefinito one, indifferenziato per tutti i generi, avente il plurale ones pure indifferenziato per tutti i generi. In inglese pertanto il titolo si presenta senza un genere definito, ossia può indicare un uomo o una donna, o anche, in un significato più sottile come si identifica all’analisi del contesto in questo film, uomo e donna entrambi coraggiosi. Nella traduzione del titolo in lingue che distinguono il maschile dal femminile – non solo l’italiano, ma anche molte altre: tedesco, spagnolo, francese etc. – sorgono problemi insormontabili che la traduzione italiana ha aggirato escludendo ogni riferimento diretto ai generi: il buio nell’anima si può riferire all’anima di un uomo come a quella di una donna. Sembrerebbe un ottimo escamotage, ma nella semantica del linguaggio, anche gli escamotage mostrano sempre qualche loro punto debole e in questo frangente il punto debole è il giudizio implicito, ma non troppo, di negatività riferito alla protagonista Erica Bain e alla sua azione di giustiziera. Chiariamo meglio. La donna, nel titolo italiano, sembrerebbe non essere stata all’altezza quanto a tenuta psicologica nella perpetrazione delle sue azioni omicidiarie di giustiziera. Nella semantica intrinseca a questo titolo italiano viene punito l’ardire della donna di aver voluto agire come un uomo appunto condannando la stessa, sotto le mentite spoglie di un titolo esteticamente molto suggestivo, in una parola: bello, al buio nell’anima il quale senza l’azione per così dire usurpatrice del giustiziere maschile appunto non ci sarebbe stato, ciò che non è come vedremo. Inoltre e soprattutto, di questo buio nell’anima nel titolo inglese non solo non vi è traccia, ma anzi, vi è esplicitamente il coraggio. In altri termini: secondo il titolo italiano una donna che uccida per farsi giustizia nei confronti degli assassini del suo compagno e anche verso di sé essendo stata massacrata anch’essa e solo per pura casualità unita alla sua resilienza ad oltranza non è morta nell’attacco scellerato, una donna che imbracci l’arma sebbene per farsi giustizia e per eliminare ulteriori delinquenti può solo avere come risultato un buio ormai insanabile nella sua anima. Sottolineando ancora: il titolo italiano, senz’altro emozionalmente coinvolgente, mette in evidenza parallelamente, in opposizione alla semantica del titolo inglese, oltre alla possibile condanna in generale della giustizia fai da te l’aggravante dovuta al fatto che sia una donna ad aver osato agire, ad avere avuto un’iniziativa tanto audace, ad avere avuto il coraggio di essere come un uomo nella fattispecie. Onde evitare tuttavia ogni eventuale e possibile ulteriore equivoco nell’interpretazione del titolo italiano, esso, se anche si riferisse eventualmente ai delinquenti in generale che senz’altro hanno o dovrebbero avere e forse hanno senza esserne coscienti il buio nell’anima come loro contrassegno incancellabile, riduce e snatura completamente il senso del film originale che in primis nel titolo e poi nel contesto del messaggio si riferisce inequivocabilmente alla protagonista e anche, ancora più implicitamente e profondamente come accennato, al poliziotto che alla fine ha il coraggio di allearsi fuori dalla legge con una tale donna.

Proseguendo nell’analisi, il film, con la presenza del citato aggettivo attributivo brave, coraggioso-a-i-e, qualifica la donna appunto come coraggiosa per qualche verso, ciò senza che la protagonista sia un macho, di fatto ha solo qualche tocco lievemente unisex per così dire, è semplicemente coraggiosa e capace di azione. L’interpretazione di Jodie Foster (Los Angeles 1962), sostenitrice della libertà da quelle che da molti vengono ritenute strettoie di genere e sposata con una donna dopo aver avuto qualche amore al femminile, ha accettato di interpretare il ruolo di protagonista nel film proprio per le particolarità psicologiche del caso, essendo essa e il personaggio entrambe donne con qualche tratto psicologico anche maschile senza tuttavia condividere le scelte sessuali: la donna del film ama appassionatamente e senza remore il suo uomo. Inseriamo una nota – rilevante – sul tipo di donna rappresentato nella protagonista. Non indossa mai abiti cosiddetti sexy sia che si tratti di pantaloni o di gonne, ad esempio non esibisce ampie scollature, né minigonne, non porta tacchi vertiginosi, anzi calza scarpe basse di solito, ossia gli abiti, talvolta quasi straccetti, non sono atti a mettere in evidenza la forma del corpo femminile – pur dolcissimamente presente quando ama il suo uomo –, anche il trucco è appena accennato e pare inesistente ed essa lo applica, non a caso, nella toilette di un locale dove si reca dopo aver ucciso due giovani malviventi in metropolitana, questo non per abbellirsi, ma per togliersi un po’ di pallore e sembrare una donna qualsiasi, come le altre, perché la sua diversità del momento non dia in qualche modo nell’occhio. Si tratta di una donna che non mette in primo né tantomeno unico piano il proprio aspetto femminile, non ha nulla che possa qualificarla come donna oggetto sessuale o comunque strumento delle esigenze maschili, ad esse sottomessa. È una donna che ha una spontanea consapevolezza inconsueta di sé. Come anticipato più sopra, anche il tipo di uomo che la apprezza cambia aspetto psicologico. Vediamo come il poliziotto Mercer che segue la vicenda del massacro per trovare gli assassini, dichiari apertamente e con verità di profondi sentimenti nei toni dell’eloquio che una donna come la protagonista sarebbe quanto non avrebbe mai potuto desiderare come amico neanche nel più intenso dei suoi possibili sogni, questo in un cenno profondissimo di serenata che rispetta ed esalta il nuovo tipo di donna. Ricapitolando, nel film vengono presentati due nuovi per così dire modelli di maschio e femmina: una donna che non si propone come oggetto sessuale a tutti i costi e un uomo che non si propone come cacciatore sessuale a tutti i costi. Questo uomo apprezza questo tipo di donna più del modello che tradizionalmente si propone come oggetto sessuale, tanto che alla fine sarà suo alleato nel fare giustizia fuori dalla legalità. Per concludere riguardo alla semantica del titolo inglese: le traduzioni che mettano in evidenza la distinzione di genere, ad esempio Il coraggioso-La coraggiosa, Quello coraggioso-Quella coraggiosa, sono tutte espressioni inadeguate e in aggiunta molto meno incisive dell’intraducibile espressione in lingua inglese, la quale lingua per altro, in genere e piuttosto diffusamente, pone gli esseri umani il più possibile su di uno stesso piano, maschi e femmine che siano, in una uguaglianza certo impossibilmente perfetta, ma comunque estesa.

Dopo aver chiarito l’importantissimo titolo, che sta come scoglio a possibili tentativi di mistificazione da parte di altre culture, e proseguendo con l’excursus introduttivo sui nomi, risulta molto interessante Bain, il cognome della protagonista o giustiziera. In sé bain non significa niente in inglese, è termine inesistente, tuttavia nella pronuncia è identico a bane, sostantivo il quale esiste e significa assassino o assassina, ciò che la protagonista in ogni caso è nel ruolo di giustiziera senza averne titolo. Inoltre il termine si trova, seppure diversamente, associato al fumetto di Chuck Dixon Vengeance of Bane (1994), La vendetta di Bane, ossia associato al sentimento della vendetta unito al tormento che la vendetta comporta inevitabilmente anche per chi si vendichi, tormento che c’è anche in chi uccida come atto di giustizia.

Si rende opportuno qui un cenno al viaggio della semantica dei termini nel tempo con il fine di chiarire sfumature interessanti relative al collegamento tra vendetta e giustizia a partire dalla loro presenza già nel latino antico. La vindicta latina o vendetta deriva da vindex, vindice, termine collegato etimologicamente a iudex, giudice (Ernout & Meillet 2001:736-737), latino quale lingua giuridica per eccellenza come lo ius romano, il Diritto Romano, mostra quale base si può dire dei codici civili e penali non solo in primis dell’Italia, ma di tanti Paesi nel mondo, anche non occidentali. Il vindex era in primo luogo, tra l’altro, un garante di giustizia, un protettore, un difensore ed estesamente colui che vendicava il torto subito come rivendicazione, rei vindicatio, ossia richiesta in ambito del Diritto Romano di qualcosa che si reclamava e si reclama come propria. Il concetto di vindex e rei vindicatio appartengono originariamente e anche oggi all’ambito giuridico – non solo quindi giustizia dal latino iustitia da iustus, connesso all’essere nel diritto o ius, appunto nel giusto giuridicamente –, inoltre anche vindicta, lasciando stare i dettagli, valeva all’origine come atto positivo di riscatto, di liberazione nei confronti dello schiavo. Si tratta dunque di termini dall’antico intreccio semantico non del tutto trascorso, ma ancora occhieggiante da più di una prospettiva nella lingua italiana, diretta prosecutrice del latino. Si vede quindi come la Giustizia si prenda carico, nel senso sopra esposto, della vendetta-rivendicazione-difesa del singolo diversamente dalla legge del taglione del Codice del re babilonese Hammurabi (XIX secolo a.C. -?), insieme di leggi come arcaico tentativo di regolamentare la Giustizia, certo limitato e di una giustizia piuttosto arcaica, inevitabilmente non esente da ingiustizie. La vendetta nella cultura attuale è considerata comunque del tutto negativa, soprattutto perché messa a confronto con il principio del porgere l’altra guancia, ossia del perdono cristiano. Al proposito, senza nulla togliere assolutamente all’altissimo valore morale intrinseco alla predicazione di Cristo, è il caso di ricordare che Cristo predicò tale principio indirizzandolo a un popolo, il suo di appartenenza, quello ebraico, il quale aveva perso il Regno, il territorio di sovranità conquistato dai Romani. Dovendo recarsi gli ebrei in regni altrui nella conseguente diaspora dovuta alle espulsioni o a vendite come schiavi, tale popolo doveva andarci per così dire con il cappello in mano e porgendo appunto l’altra guancia senza vendicare eventuali offese e ingiustizie onde evitare mali peggiori. Il porgere l’altra guancia di Cristo non era dunque un principio oggettivamente indirizzato a tutti i popoli, a quelli che avevano un territorio sovrano con una Giustizia preposta a riparare i torti, a farsi vindice di chi subiva la violenza altrui. La Giustizia in ogni caso non può applicare tale regola del perdono in quanto questo metterebbe tutta la popolazione in mano ai delinquenti, pertanto il perdono come comportamento generale verso offese, furti e omicidi, non può non essere preposta alla riparazione delle ingiustizie secondo la loro gravità, ossia è ancora e sarà sempre connessa alla semantica trascorsa come rappresentante di ciò che è giusto così da evitare che il singolo sia costretto a farsi giustizia da sé con tutti i rischi che ciò comporta. Questo punto di vista emerge dalla considerazione dei concetti di Giustizia, giustizieri e vendetta conseguente all’analisi del messaggio implicito del film.

Tornando ai nomi, anche il nome Erica nel contesto ha una eco molto simbolica: Erica, come pianta della brughiera, irlandese tra l’altro, adatta a sopravvivere anche nelle intemperie, pianta che pare essere efficace anche nella guarigione delle ferite e che dà miele, dolcezza, come è nella personalità della protagonista, ossia: la durezza del carattere della protagonista che sa uccidere non ostacola la sua femminile dolcezza, la sua capacità di amare espressa esplicitamente quando dice al fidanzato che non si sarebbe mai sposata una seconda volta, ossia che avrebbe amato solo una volta, appunto lui, tratto antico dell’amore più vero sentito da una donna e contrassegno più nobile della sua personalità. Implicitamente Erica è contraria alla separazione dei coniugi, al divorzio, ossia lo consente agli altri, coloro che lo vogliono, ma essa non lo accoglie nella propria ottica. Quanto al cognome del poliziotto, Mercer, interpretato da un valido Terrence Howard (Chicago 1969), attore di famiglia e cultura multietnica, anch’esso è semanticamente molto rilevante: significa colui che usa misericordia e di fatto l’uomo salva la protagonista, contravvenendo egli stesso a ciò che gli imporrebbe la legge che non legittima la giustizia fai da te; inoltre ha pietà di una bambina cui il patrigno di nome Murrow ha ucciso la madre facendo passare l’omicidio per un suicidio e così aggirando le leggi, assassino che ha in programma di uccidere anche la piccola per eliminarla come possibile testimone del delitto. Ma a rendere più audace la situazione viene il nome di Mercer, ossia Sean, di origine gaelico-irlandese, lingua in cui significa più o meno Dio ha dato il perdono o grazia di Dio, che unisce alla misericordia umana addirittura il sigillo divino della misericordia in quanto superiore Giustizia. Un po’ come se la giustizia fuori range del poliziotto partecipasse nella sua sconvolgente complicità finale con Erica Bain non di una giustizia meramente umana, e fallace in quanto tale, ma di quella di Dio che perdona chi sbagli tuttavia essendo nel giusto e dà la sua grazia, infallibile pertanto, più giusta, anzi giusta. Nel contesto il poliziotto sia nel nome che nel cognome viene presentato come non in contrasto con la superiore Giustizia divina che pare per certi aspetti perdonare i giustizieri, un concetto, quello che si collega ai citati nomi, il quale sommuove alla base i principi democratici informanti i comportamenti delle Autorità verso le vittime e chi delinqua. Importante è anche il significato di Chloe, nome della giovane prostituta in mano a un delinquente che la droga, che non vorrebbe pagarla e che poi tenta di ucciderla assieme alla protagonista, senza riuscirci ma essendo ucciso egli stesso da Erica che gli spara senza esitazione. Tale nome, che introduce il tema molto rilevante nel film relativamente alla prostituzione di giovanette che la democrazia non protegge convenientemente,  significa erba appena spuntata, quindi giovane, tenera, fresca, nonché delicata, un nome di pianta che si pone in opposizione semantica a quello di Erica e che mostra la debolezza della giovinetta lasciata in mano a chi la rovina drogandola e la sfrutta, ciò che appunto avviene anche in un certo tipo di democrazia dipinto in implicazioni che si rivelano molto interessanti all’analisi semantica. Abbiamo già visto come il cognome Bain si pronunci nello stesso modo di bane che si scrive diversamente e vediamo come anche a proposito del già citato Murrow il nome non si riveli nella grafia per un sostantivo esistente in inglese, bensì pretenda per così dire una piccola indagine per essere decifrato, per l’esattezza una scomposizione in due parti. Ci sono due possibilità semantiche le quali si completano a vicenda:  quando la radice mur- si pronuncia mar con la a come nel cognome, essa significa tra l’altro peste, pestilenza o malattia mortale; scritto con la a, mar, e pronunciato ugualmente con la a, significa mettere fuori uso, rendere inutilizzabile, rovinare, anche corrompere moralmente, significati che identificano sia gli effetti disastrosi della droga sugli individui che vi accedono – come Erica gli rinfaccia prima di ucciderlo –, sia la corruzione implicitamente e in particolare di Giudici e Autorità attuata con il denaro che Murrow possiede in grande quantità grazie alla sua attività di trafficante di droga, di portatore di morte in cambio di ricchezza. Il termine -row significando tra l’altro schiatta, stirpe, genia, indica l’appartenenza al gruppo appestante. Quanto al nome del personaggio che Erica Bain vorrebbe sposare in tempi brevi – sta preparando gli inviti, il pastore e la musica tra l’altro –, esso è David Kirmani interpretato dall’attore Naveen Andrews (Londra 1969) di origini indiane. David, nome ebraico come amato da Dio e Kirmani di origine pare persiana, un nome quest’ultimo che si può usare ugualmente sia per maschi che per femmine. Nella possibile qui proposta decifrazione della connessione di nome e cognome quasi sembra che Dio ami la libertà o la mescolanza di genere – vedi associazione implicita con il titolo del film, con la donna nuova e l’uomo nuovo. Compare anche il colore scuro della pelle dell’uomo, l’antirazzismo. Erica vuole sposare appunto un uomo di pelle scura e per altro anche Sean Mercer, il poliziotto misericordioso, è di colore e ha non solo belle qualità morali, ma ha nella connessione di nome e cognome il citato rapporto privilegiato con Dio relativamente al tema più fondamentale per la possibile tenuta della società umana: la Giustizia superiore verso i giusti, gli inermi, gli innocenti.

Dopo aver dato un’occhiata alla semantica dei nomi dei protagonisti come schematica e profonda guida ai messaggi contenuti nel film di Neil Jordan The Brave One, passiamo ad illustrare i punti salienti del film stesso, ovviamente non in tutti i numerosi dettagli e risvolti pure importanti, ma non essenziali all’articolazione del messaggio.

Per primo vediamo come Erica Bain, quando si è ripresa dal rischio di morte che ha corso causato dai teppisti, ricominci a condurre, seppure a fatica e un po’ diversamente da prima dell’evento nefasto, la trasmissione radiofonica Streetwalker, tradotto con Girovagando, ossia passeggiando per le strade, riguardante la città di New York in cui vive. Prima del massacro la trasmissione riguardava il cambiamento dovuto al procedere del tempo, una trasmissione che rievocava quanto di bello fosse ormai trascorso, persone scomparse e che erano diventate quasi punti di riferimento ormai scomparsi anch’essi, inoltre la malinconia dovuta alla perdita di queste persone che si portava via anche parte della vita di ciascun cittadino sguarnendone sempre più l’orizzonte esistenziale. Dopo l’incidente Erica afferma nella trasmissione di avere paura dei luoghi amati, della città che non le pare più sicura, sensazione che si riferisce anch’essa agli effetti di una interpretazione, implicita, della democrazia verso il basso, che appare troppo permissiva verso i delinquenti. Alla direttrice della trasmissione il nuovo assetto della stessa risulta meno elegante, meno letterario di quello precedente, deve però consentirlo in quanto esso ha successo e anzi al proposito fa intervenire il pubblico con opinioni durante la trasmissione come è in sintonia con il nuovo tono più popolare e meno sentimentale inaugurato dalla Bain. Anche qui sono proposte due antitetiche interpretazioni del programma e della cultura diffusa dai media: quella della direttrice cui non piace affatto il nuovo format che vorrebbe per così dire superiore al sentire del popolo, in ultima analisi più o meno privo di critica sociale, e con qualche nozione culturale come in precedenza; quella del popolo che invece gradisce il nuovo format perché dà voce a problemi sociali seri, quelli della giustizia, della delinquenza e simili. Le opinioni espresse dal popolo di cittadini presentano sia giudizi positivi verso il sospetto vigilante che uccide da giustiziere i delinquenti lasciati impuniti dalla Giustizia, sia coloro che sono benpensanti e che giudicano negativamente un vigliante che si pone alla stessa stregua dei delinquenti comuni che uccidono senza processo. Erica, diventata giustiziera in quanto si accorge che la polizia nulla o quasi fa per perseguire i malviventi, uccide persone che vorrebbero ucciderla o farle del male, anche Murrow stesso e l’uomo che corrompe le giovinette, infine riesce a uccidere coloro che hanno ammazzato il suo uomo rovinandole irrimediabilmente la vita, per sempre. Certo, anche gli omicidi che essa ha commesso le pesano essendo essa una persona civile, ma la sua rovina è dovuta all’effetto dell’uccisione del suo uomo, è per questo motivo che essa dichiara esplicitamente e senza possibilità di equivoco di essere diventata diversa quasi non riconoscendosi più, come confessa al poliziotto quando risponde che dopo un evento così tragico come l’assassinio della persona amata non si possa mai più essere come prima, ossia si diventi diversi, estranei a se stessi. Anche Mercer, pur non avendo subito la tragedia di Erica, è stato abbandonato dalla moglie e sembra che per lui il divorzio stesso sia evento molto doloroso, capace di mutare in peggio la vita, difficilmente superabile. Tornando a Erica, l’acquisto illegale della pistola da parte sua ha immediatamente un risultato positivo nella legittima difesa della sua vita: grazie al suo possesso, pur illegale, e al suo uso Erica riesce a evitare che un delinquente la uccida impunemente solo perché essa ha assistito all’omicidio perpetrato dall’uomo verso la madre dei suoi figli, ossia Erica riesce a ucciderlo prima che lui cercandola con l’arma in pugno la trovi tra le file degli scaffali nel supermercato e la uccida come ha ucciso la madre dei suoi figli senza pensarci un minuto di più come è abituato ad agire nella sua esistenza di malvivente. In altra occasione successiva, mentre è in metropolitana, è minacciata con un coltello da due teppisti e li uccide a revolverate ormai con maestria e sicurezza totale, non più tremando come nel supermercato al suo primo omicidio, né sbagliando la mira.

Tralasciando come anticipato gli innumerevoli dettagli, tutti molto interessanti, e giungendo al gran finale: Mercer fa vedere a Erica un anello che pare stesse per essere impegnato in cambio di denaro e che risulta essere l’anello rubatole dai delinquenti che credevano di averla uccisa assieme al fidanzato quella sera in un tunnel di ingresso al tristemente noto Central Park. Erica viene chiamata a riconoscere i delinquenti protetta dallo schermo che evita che essa sia vista da coloro che dovrebbe riconoscere. Li riconosce, ma dichiara di non riconoscerli, perché ha deciso nella sua mente di ucciderli essa stessa adesso che sa come rintracciarli, per fare opera di giustizia per quanto a livello individuale, da cittadino che non si sente più tutelato dalla Giustizia, dalle Autorità, dalla Polizia – implicitamente dall’organizzazione democratica della società orientata verso il basso, un’organizzazione che ormai l’ha messa in mano alla paura della città tanto amata. Riesce a sapere chi ha impegnato l’anello regalatole dalla madre di David e l’impiegato del Monte dei Pegni finalmente identificato le dà pur non volentieri nome, cognome, telefono e indirizzo di chi aveva voluto impegnare l’anello. Con queste informazioni si può rivolgere alla ragazza indicata nell’indirizzo e le chiede dove si trovi il delinquente che glielo ha regalato, ma la giovane la riconosce avendo visto il video girato da uno di loro per divertimento durante il massacro di cui vanno fieri credendo di essere qualcuno così uccidendo e dice chiaramente che non vuole farsi conciare come lei. Ma poi, mossa a compassione per Erica e vendetta o giustizia per l’uomo che essa disprezza, le invia il video e le dà anche l’indirizzo dell’uomo stesso. Allora Erica invia a sua volta il video a Mercer e uccide due dei delinquenti che si erano impossessati anche del suo cane e sta per uccidere il terzo, quello che ha massacrato il fidanzato con la spranga e che starebbe per uccidere lei con la stessa modalità. Ma in quel mentre appare Mercer che quando ha visto il video si rende conto che i delinquenti non la devono passare liscia e che se li arrestasse la passerebbero liscia, come la stanno passando liscia al momento, felici di poter rubare e ammazzare impunemente, senza nessun timore delle Autorità che in onore dei principi democratici non li incarcerano magari perché, pur sapendo che siano assassini, non hanno sufficienti prove. Mercer riesce a salvarla e le mette l’arma in mano perché essa uccida l’assassino che in ginocchio con le mani alzate continua a richiedere al poliziotto di arrestarlo – e così salvarlo. Molto interessante questo finale, in cui il delinquente vuole farsi arrestare per non farsi uccidere da Erica. Chiede al poliziotto che razza di poliziotto sia visto che non lo arresta e non ferma la donna, ma Mercer lascia appunto che Erica Bain uccida l’assassino. Dopo di ciò Erica si consegna al poliziotto, il suo atto coraggioso di giustizia fuori legge comunque è stato ormai compiuto, ma Mercer non vuole arrestarla e si fa ferire dalla stessa onde fingere di essere stato ferito da tre teppisti che ammazzavano il prossimo per gioco.

Così termina il film di Neil Jordan. Ora la cosa sconvolgente, come abbiamo visto, è che il poliziotto si allea con Erica Bain non per un qualche innamoramento, ma perché capisce che il delinquente si salverebbe se lo arrestasse e così continuerebbe tranquillamente a uccidere. Così come ha capito che il trafficante di droga che ha ucciso la moglie e vorrebbe uccidere la piccola non appena possibile per evitare che essa possa testimoniare contro di lui, sarebbe ancora in grado di delinquere se la Bain non lo avesse ucciso – gli avvocati dell’uomo, come dice Mercer a Murrow stesso e in un discorso con la Bain, sono sempre riusciti a scagionarlo da qualsiasi accusa proprio grazie all’organizzazione democratica del vivere sociale, per cui l’averlo ucciso è stato l’unico mezzo valido per togliere di mezzo un uomo che, secondo le idee espresse nel film, andava tolto di mezzo senza consentirgli di cavarsela sempre grazie ai suoi avvocati che in questo tipo di democrazia del tutto imperfetta sul piano della Giustizia possono evitare grazie alle leggi l’incarcerazione di un trafficante di droga e assassino.  Dunque nel film non solo Erica Bain si fa giustizia da sé, ma anche il poliziotto si allea con lei perché capisce come non si possano lasciare liberi i delinquenti di derubare e uccidere a piacimento i giusti e gli inermi che hanno delegato allo Stato la propria difesa e non disturbano l’ordine sociale, lieti di vivere osservando le leggi – per altro, ribadendo, il motivo fondamentale della costituzione dello Stato o della Tribù a seconda dei tempi sta proprio nella delega alle Autorità della difesa del gruppo degli onesti dai delinquenti. Tra l’altro: Mercer è esplicitamente contro il divorzio e la separazione, che considera tra i mali peggiori, ossia condivide l’ottica di Erica al proposito, pur non essendo contro il divorzio di chi lo voglia attuare.

I nomi scelti per i personaggi e in primis il titolo hanno espresso in sé la presentazione di alcune idee importanti rappresentate poi nell’azione filmica, idee appunto confermate dagli eventi raffigurati. Non si tratta di una semplice – si fa per dire – giustiziera della notte, ma dell’esposizione di una proposta implicita – secondo il messaggio intrinseco al film – di cambiare qualcosa di rilevante nel rapporto della Polizia e della Giustizia, nelle leggi, verso i delinquenti affinché non possano più delinquere agevolmente contro chi non sia violento come loro e abbia un concetto positivo del vivere. Certo, la Bain afferma alla fine e durante la sua vicenda che non potrà mai più essere com’era prima. Questo senz’altro anche per gli omicidi commessi che tuttavia non ne hanno fatto un’assassina malgrado uccida come nel suo cognome né solo una vendicatrice, come pure nel cognome, assassina e vendicatrice che odi il prossimo e che non sappia più fermarsi dopo aver fatto giustizia secondo i suoi canoni: al contrario, di fatto essa si costituisce a Mercer dopo aver sparato al delinquente con un atto disperato di giustizia visto che le Autorità non punirebbero come di dovere gli assassini dei giusti. La giustizia fai da te di Erica è agìta per non poter essa accettare che l’omicidio del suo amato, una brava persona, un infermiere che aiutava il prossimo lavorando all’Ospedale e non facendo male a nessuno, facendo il suo dovere e vivendo in pace, amando la sua donna con cui voleva formare e stava per formare la sua famiglia, appunto che il suo assassinio resti impunito in una rete sociale in cui una Giustizia verso il basso lasci troppo a desiderare a svantaggio delle vittime e a vantaggio dei criminali. È utile sottolineare ancora che il motivo principale del suo cambiamento irrimediabile non siano gli omicidi o soprattutto gli omicidi che essa commette, ma in primo luogo l’uccisione del suo uomo vittima innocente di delinquenti che ridono felici di averla fatta franca a spese delle vittime. E ricordiamo di nuovo anche che essa dice a David poco prima che lui venga assassinato a sprangate che non si sarebbe mai sposata una seconda volta, ciò che implicitamente è in sintonia con l’opinione negativa di Mercer sul divorzio. Allora Mercer è contrario al divorzio? No, dichiara solo come esso sia qualcosa capace di rovinare la vita, di rendere diversi, non più come prima. Ma se il dispiacere principale e indimenticabile è l’uccisione dell’amato, a che cosa può servire l’uccisione degli assassini stessi? L’uccisione, se non possibile l’incarcerazione a vita degli assassini stessi, rientra nel gestire l’alto compito della Giustizia, quella giustizia che, sempre attenendoci al messaggio filmico, non viene fatta da nessuna Autorità pur preposta a gestirla in primo luogo a favore delle vittime della violenza, ciò che spinge il privato cittadino ad azioni estreme, fuori dalla legalità. Se nel titolo italiano la donna che agisce uccidendo chi le ha tolto l’amato ha ormai per sempre il buio nell’anima come colpevole degli omicidi sebbene perpetrati nei confronti di delinquenti e quale atto di giustizia, nel film non è così: il buio nell’anima è dovuto ab origine all’omicidio che l’ha privata del suo uomo, dei suoi sogni di felicità nel giusto, omicidio che è ciò che le ha rovinato per sempre la vita come essa più volte dichiara, mentre gli omicidi commessi hanno solo fatto giustizia anche se certo non sono state azioni compiute a cuor leggero, ma che hanno contribuito a renderla diversa da come era prima. Così in questo audace film ricco di spunti su cui riflettere in un modo o in un altro.

Come si è cercato di evidenziare in questa analisi, uno dei messaggi più profondi del film riguarda non proprio o non soltanto la giustizia fai da te, ma l’interpretazione del concetto di democrazia, questo senza che la sua trattazione implicita proponga una soluzione o l’altra, il film dà spazio su basi oggettive a diverse prese di posizione e solo presenta le cose come stanno in una democrazia che, molto chiaramente sebbene implicitamente, sembra andare oggettivamente verso una deriva in basso, ritrovandosi non di rado a stare, pur senza volerlo, dalla parte dei prepotenti, dei violenti i quali riescono spesso a farla franca, in altri termini: stimola varie prese di posizione sulla società. Gli altri due leitmotif importanti sono i due tipi nuovi di donna e uomo nella loro relazione reciproca erotico-affettiva, che anch’essa si inserisce in un modo diverso dal tradizionale di intendere le relazioni tra maschio e femmina, come abbiamo visto in dettaglio.

Un film, va ripetuto, che stimola la riflessione finalizzata a ideare possibili rimedi al dilagare della violenza dal punto di vista della punizione dei malviventi e della loro messa in maggiore scacco, questo in una nuova interpretazione dei principi democratici non indirizzata verso il basso o non più verso il basso visto che la direzione attuale, verso il basso, non appare funzionale alla migliore riuscita del tessuto sociale, dell’impegno per una società migliore. Sempre e ancora stando nel significato del messaggio profondo del film, una democrazia nella quale i delinquenti abbiano innumerevoli scappatoie non può essere una buona democrazia, da cui il citato invito implicito alla base del film a ripensare l’organizzazione democratica, i principi democratici, in direzione verso l’alto.

Prima di chiudere la breve analisi, un doveroso cenno alla meravigliosa canzone emozionalmente molto intensa come suoni, voce e testo: Answer (2003), Risposta, di Sarah McLachlan (Halifax 1968), straordinaria cantautrice canadese dal cognome di origine gaelico-irlandese. La canzone è stata inserita sia in una scena del film quando la protagonista, a casa ormai da sola al rientro dall’Ospedale, accende nella penombra il Lettore e la musica e il canto irrompono potenti introducendo il doloroso ricordo della felicità trascorsa e per sempre interrotta tragicamente, sia nei titoli di coda dove i suoni però sono sommessi, essendo essi in sintonia con la tristezza ormai immutabile della protagonista. Si tratta di una canzone d’amore di infinita soavità che Erica e David, che la accompagnava improvvisando sul so strumento a corde, ascoltavano amandosi in una altrettanto dolce passione reciproca. Anche nella risposta di Sarah McLachlan ai mali della vita e agli amori interrotti dolorosamente come il suo dall’amato marito Ashwin Sood di origine indiana risulta in ultima analisi, pur diversamente che nel film per cause ed effetti, la necessità per la donna di rafforzare la sua personalità facendosi forza da sé, sempre tuttavia conservando la gentilezza d’animo e la capacità di amare nella modalità femminile fatta di sentimenti veri, intensi e assoluti (www.ritamascialino.com Sez. Miscellanea Musicale), come nella migliore interpretazione del vivere. Da ultimo e da primo pertanto: l’amore ricco di sentimenti sta in questo film come nella canzone stupenda al centro della vita, di un’interpretazione, quale che sia, positiva dell’esistere, amore senza il quale la vita non avrebbe senso, per la donna, ma anche per l’uomo – ricordiamo quanto dice il poliziotto a proposito del divorzio, ossia della separazione dalla persona amata, situazione di abbandono da cui sembra non sapersi riavere. Erica soffre ormai irrimediabilmente, ma appunto: la sua vita ha avuto senso nell’amore.

 

RITA MASCIALINO