SULLA FRAGILITÀ DEI MASCHI CHE UCCIDONO LE DONNE

SULLA FRAGILITÀ DEI MASCHI CHE UCCIDONO LE DONNE

Category: FRAILTY,

Sulla ‘fragilità’ dei maschi che uccidono le donne
di Rita Mascialino 

A fronte della attualmente evocata fragilità dei maschi come concausa nei donnicidi, espongo qui alcune idee in parte controcorrente.
In primo luogo segue una breve nota di semantica linguistica.
L’aggettivo fragile, dal latino fragilis, frangibile, da frango-is-frangere, rompere, fare in pezzi, da cui fragilitas, fragilità, e anche infragilis, contro, dal significato della preposizione in nel termine composto, frangibile, per cui infrangibile, come ciò che non si rompe, che rimane integro anche subendo colpi, cadute che al contrario spezzano il fragile, il frangibile. Il termine ha senso sia concreto come qualcuno o qualcosa che si frantumano, sia, già nella latino in quanto nostra antica lingua, in senso figurato come segno di debolezza psicologica, non solo fisica, spesso anche se non sempre basata su una debolezza fisica, come ad esempio nella vecchiaia o nella malattia, anche nel più debole femminile.
Lasciando stare qui le ulteriori denominazioni della debolezza psicologica in latino e in italiano, vogliamo soffermarci appunto sul termine citato fragilità. Amleticamente frailty, che dà il titolo a questa Rubrica – vedi Introduzione alla stessa –, si riferisce alla fragilità femminile di natura soprattutto psicologica, senza che vengano minimamente approfondite le motivazioni a monte di tale tipo di fragilità, così che non viene centrato il complesso bersaglio. Anche l’ammiratissimo Shakespeare, magari una volta o anche ogni tanto, può non fare centro – neanche le varie divinità sono perfette, basta valutare le loro connotazioni presenti nei miti che le riguardano. In ogni caso, secondo quanto afferma Amleto, la donna, morto l’uomo, il marito e padre di Amleto, non gli resta fedele, ma cerca subito o presto un altro uomo, questo divenendo infedele al marito defunto. Amleto-Shakespeare appunto non approfondisce l’argomento nella notoriamente non buona disposizione verso le donne, per altro comune all’epoca. Noi invece approfondiamo il concetto della fragilità femminile prima di passare a valutare la debolezza psicologica ascritta ai maschi. Per la donna la protezione del più forte, il non averlo contro almeno e quindi sottomettendosi a lui per risparmiarsi la sua inimicizia, è sempre stata una prassi, dal branco di scimmie agli umani o scimmie umane dei giorni nostri ed è del tutto comprensibile: in una società retta dai maschi, i più forti e i più violenti, i non fragili o i meno fragili, pare buona cosa ingraziarseli, ossia sedere alla loro mensa – nella Rubrica non viene trattata la presenza della violenza in generale, qui si fa comunque presente che il genere umano è annoverabile tra i predatori. Rientrando nel tema specifico, citiamo il manzoniano e debolissimo don Abbondio, secondo il quale “un vaso di terracotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro” doveva fare attenzione a non scontrarsi contro tali vasi perché avrebbero frantumato il più fragile. Tanto più e quasi inevitabile da parte della donna farsi pertanto accettare dal più forte, adeguarsi alle sue richieste, cercare la sua protezione, l’amore cosiddetto c’entra magari poco o forse niente, c’entra invece la sessualità, la moneta di scambio sempre in vigore in possesso della donna per le richieste sessuali del maschio che instaura il suo potere su di essa in primo luogo attraverso l’uso del suo pene, un sesso di per sé aggressivo, diverso da quello accogliente della donna. La ricerca femminile di protezione non giustifica certo qualsiasi comportamento disdicevole, ma è comunque una componente oggettiva dell’insieme di motivazioni a monte del tentativo femminile di cercare appoggio, scudo per la propria debolezza in una società retta dai più forti, dai maschi. Per riferirci alle infedeltà e debolezze sessuali riscontrate nella donna secondo Amleto, qui non si considerano specificamente infedeltà femminili dovute al semplice desiderio sessuale, in genere e per altro punite molto severamente, in passato e in qualche società arretrata ancora nell’epoca attuale, proprio dai maschi, gli infedeli per definizione, i quali per vari motivi hanno sempre negato e ancora oggi tendono a negare alle donne anche nelle società democratiche le libertà di cui essi stessi hanno usufruito e usufruiscono grazie al potere da essi gestito, grazie alle società da essi organizzate, rette, già dalla preistoria ai giorni nostri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Immagine: 'Studio Fotografico Valentina Venier ' | Udine | 2024

Applicando ora al mondo maschile il concetto di fragilità, esso non può quindi riguardare il piano fisico, in cui i maschi prevalgono nettamente rispetto al mondo femminile – anche don Abbondio sarebbe stato, ipotizzabilmente, all’occorrenza più forte fisicamente di una donna, se avesse avuto il coraggio di usare violenza contro di essa. Ciò che è interessante qui, è, attualmente soprattutto come accennato, la valutazione che viene data alla risposta tradizionale dei maschi al diritto femminile di avere un’identità nella libertà di autodeterminazione, ossia la violenza con percosse e umiliazioni fino all’uccisione – menzioniamo qui come esempio il famigerato delitto d’onore in Italia, grazie al quale fino a poco tempo fa il maschio poteva uccidere impunemente o con una lieve pena la donna che lo tradiva, delitto d’onore abolito nel vicinissimo 1981. Tale risposta violenta dunque viene ascritta oggi sorprendentemente a una fragilità addirittura affettiva da parte dell’uomo, del maschio. Parlo del maschio e non di alcuni maschi, in quanto si può constatare come maschi insospettabili, giovani e vecchi, possano diventare per così dire cattivi con le donne. In passato, forse, gli uomini ammazzavano meno donne, ma le picchiavano, sempre alla bisogna, le umiliavano, le facevano stare zitte, impedivano loro di istruirsi, le affliggevano con gravidanze continuate che terminavano non di rado con la morte delle donne per parto e sfinimento, gravidanze che le facevano anche invecchiare anzi tempo – vedi la metafora della rosa che presto sfiorisce riferita alla donna – e questa degli ingravidamenti era l’arma più potente brandita spietatamente dai maschi, da tutti i maschi, per mettere fuori campo le donne, arma spuntata oggi con i contraccettivi che hanno tolto parte del potere ai maschi nei riguardi delle donne. Potere recuperato tuttavia in parte con la continuazione, forse anche l’incremento degli stupri, grazie ai quali i maschi restaurano il loro potere sulla donna umiliandola e dimostrando ad essa chi sia comunque il più forte.
Sul piano psicologico, specificamente affettivo, alla luce anche solo di quanto sopra solo accennato sorprende che qualcuno voglia presentare i maschi come timide e fragili collegiali dal cuore affettivamente tenero, quel cuore tenero che nessun maschio ha mai avuto verso le donne – non si può scambiare per affetto la sessualità maschile o la serenata – vedi studio precedente in questa Rubrica. In ogni caso, potrebbe anche essere che siano improvvisamente diventati fragili nell’ambito, ma credo sia legittimo almeno sollevare qualche forte dubbio in merito.
In realtà, il concetto della fragilità, applicato alla personalità dei maschi, sembra anche più assurdo di quello relativo al delitto d’onore. Il fatto importante è che esso più verosimilmente funge o vorrebbe fungere da attenuante rispetto all’atto funesto. Addirittura le donne appoggiano e sostengono tale concetto perché si sentono importanti se sono i maschi a essere fragili e così continuano nel loro vecchio ruolo di servaggio per quanto travestito da bontà che le pone più facilmente in mano agli assassini. Come nella fiaba del vecchio leone indebolito dall’età e dalla minore forza – o fragilità? –, il quale così ingannando divora gli incauti che ci credono e cadono nelle sue fauci senza neppure che esso faccia la fatica di cacciare, fa eccezione la volpe, emblema dell’astuzia per eccellenza, che non cade nella trappola valutando la realtà oggettivamente e sarebbe buona cosa che tutte le donne diventassero volpi, l’unico animale che si salva dalla ferocia del vecchio leone perché dubita su base oggettiva della buona fede improvvisa del feroce leone, ossia non ci crede.
Dunque l’individuo che uccide una donna sarebbe un debole, un fragile psicologicamente, ciò con cui la malvagità e la prevaricazione del più debole escono inevitabilmente dal campo di pertinenza maschile nella fattispecie. La verità può essere la seguente: quando il maschio sente attaccato il proprio ingiusto potere sulla donna, quello che ha da sempre esercitato impunemente, ha ancora oggi in molti casi la reazione più selvaggia, la quale non è una novità, avendo essa radici ancestrali, bensì è eventualmente anacronistica, arretrata. A poco servirà, se non a inselvatichire l’umanità ancora di più, l’Intelligenza Artificiale in una società che uccide le donne e le prevarica rendendo loro più arduo il possesso legittimo per tutti gli umani della libertà di autodeterminarsi. Le donne sarebbero o sono meno intelligenti dei maschi?, viene detto da più parti autorevoli, maschili, in molti studi sull’intelligenza maschile e femminile poste a confronto. Può darsi, non entro qui nel merito di una tale questione. Ma dico in piena libertà, utilizzando un termine popolare perché particolarmente chiaro, che anche coloro che sono considerati scemi hanno comunque diritto di vivere per come possono la loro esistenza su questa Terra e che devono avere la libertà di studiare per diminuire, forse, la loro insufficienza, non devono per questa loro possibile inadeguatezza ai compiti più ardui essere uccisi e neanche maltrattati, umiliati o privati delle giuste libertà da chi è o si ritiene più intelligente. Ancora: molti, anzi forse la maggioranza delle persone, specialiste o meno in materia di patologie della personalità, affermano che i donnicidi siano compiuti da uomini squilibrati. Forse in qualche caso, ma in generale non è così. Al proposito cito, condividendolo pienamente, il giudizio di Anna Maria Pacilli, medico chirurgo specialista in psichiatria, sessuologo clinico ed esperto in criminologia, tratto dalla sua relazione alla silloge poetica di Maria Teresa Infante Rosso sangue (Bari BA: Oceano Edizioni: 2016:, 11):

“(…) Non esiste il ‘raptus’, la ‘follia omicida’, perché in realtà questi omicidi solo per la minima parte sono compiuti da uomini affetti da quadri psicopatologici ben precisi che possano determinare, con la perdita del controllo, comportamenti aggressivi. Per lo più si tratta di uomini che agiscono con determinazione, con la volontà di agire e, soprattutto, con la premeditazione, rappresentando l’omicidio, così, solo l’ultimo atto di una violenza perpetrata per anni, ma misconosciuta, a volte dalla donna stessa. ’Era un bravo ragazzo, solo un po’geloso, mai saremmo arrivati a pensare che…’ (…)”

Giudizio profondo, oggettivamente ineccepibile e anche coraggioso, perché afferma una verità controcorrente dello stato di cose relativamente ai donnicidi.
Pongo una domanda finale: perché il maschio in generale non tollera, a vario livello di pericolosità e di negatività sociale contro le donne, di perdere il potere proprio sulla donna? Perché il potere più facile da imporre da parte di un maschio, magari frustrato per le sue possibili scarse eccellenze, è da sempre stato il più debole femminile, sottomesso a proprio piacimento, con le buone o con le cattive, senza combattimento, appunto agevolmente.
A conclusione di questo studio cito la poesia L’assassino vien cantando tratta da Donna donna: Tetralogia in filastrocca, posta in appendice alla silloge della scrivente Poter danzare spirito (Cleup Editrice 2019: 73):

L’assassino vien cantando
L’assassino vien cantando
Serenate di menzogna
Dal tugurio del suo cuore
Tu colomba scappa scappa
Non fermarti ad ascoltare
Fatti muta di parole
Fatti sorda alle sirene
Fuggi via via lontano
Solitaria nei tuoi voli
Ti accompagnano orizzonti
Che ci sono per te in alto
Vola vola
Nel tuo regno
Le sue mani due pugnali
Il suo sguardo di spavento
L’assassino vien cantando.”

Perché anche alla donna spetta di sperimentare la felicità di poter volare in alto, non in un al di là, ma in un ben concreto al di qua, in un regno che appartiene di diritto anche alla sua esplorazione e conquista.

Rita Mascialino