La canzone Now We Are Free (2000), Ora siamo liberi, musica del compositore tedesco Hans Florian Zimmer (Frankfurt am Main 1957), uomo ultra sensibile, in collaborazione con Lisa Germaine Gerrard (Melbourne 1961), autrice del testo e voce sublime della canzone, è il tema di morte nella premiatissima colonna sonora del pluripremiato film epico Gladiator (2000), Il gladiatore, splendida regia di Ridley Scott (South Shields 1937), indimenticabile interprete il neozelandese Russel Ira Crowe (Wellington 1964), Premio Oscar quale migliore attore protagonista.
La canzone è priva di parole dotate di senso tranne qualche coincidenza casuale o voluta, non vogliamo fare qui un’analisi in merito. A cantare è una voce il cui effetto emozionale più profondo è esaltato dalla mancanza di senso del testo di parole che nello specifico avrebbe forse limitato l’effetto più drammatico della comunicazione. Anche ad esempio nel canto lirico non sempre si capiscono le parole, ciò che va a vantaggio dell’espressione più intensa dei sentimenti per come sono comunicati dalla musica e dal canto senza che il significato delle parole possa distrarre dai suoni e comunque limitare la risonanza semantico-emozionale.
La canzone performata dalla straordinaria voce e interpretazione di Lisa Gerrard è emotivamente molto toccante. Premettiamo al proposito che la donna conduce nel dolore gli esseri umani alla vita e li accompagna nel massimo dolore, quello definitivo nella fase finale della stessa, questo da sempre nel suo servizio per la vita, per l’umanità, la donna è, tra l’altro, soccorritrice e per eccellenza nell’ora estrema come comunica anche il testo della splendida preghiera Ave Maria introdotta dalla Chiesa cattolica. Nel film è di fatto una donna, Augusta Lucilla, che assiste il gladiatore, il combattente per eccellenza, mente muore e gli dà il suo saluto di commiato dalla vita, un saluto d’amore e di compassione, di partecipazione per il suo dolore, anche per il proprio per non poter più aiutare a vivere l’uomo che ama. Nella canzone in questione la Gerrard rappresenta la donna che accompagna il morente con il suo canto in uno o l’altro al di là, perché non sia solo nel più tragico momento di totale disorientamento. Il canto della Gerrard è un canto funebre, un pianto di nostalgia per la vita le cui parole, come accennato, non si capiscono, ma sono parole comunque, come il canto si sappia esprimere nel linguaggio modificato in puro suono adatto in quanto tale non più agli esseri terreni, ma al viaggio nell’infinito Universo. Questa è l’atmosfera che attanaglia il cuore e la mente di chi ascolta la musica e le parole della lingua sconosciuta del regno sconosciuto, come secondo gli immortali versi poetici shakespeariani: The undiscovered country from whose bourn / No traveler returns (…), Il paese non scoperto dai cui confini / Nessun viandante ritorna (…) (trad. di RM). E proprio in previsione di questo viaggio nell’ignoto il canto della donna si leva per accompagnare il morente, per non lasciarlo solo. La Gerrard piange il suo canto con una voce purissima mentre nel video ufficiale della canzone scorrono immagini mute delle glorie, dei combattimenti del gladiatore quando era in piene forze vitali, come in un gran finale della vita dove tacciono ormai le grida e le voci degli umani che non sono più e dove già echeggia l’incomprensibile linguaggio dell’eterno.
Ora mi sembra interessante in questo brevissimo cenno di commento critico comparare l’interpretazione che di tale canzone fa un uomo, il tenore Andrea Bocelli, molto diversa da quella della Gerrard. Innanzitutto nella sua canzone c’è un normale testo di parole comprensibili, ciò che, rispetto al testo con parole incomprensibili della Gerrard, accompagnatrici nel regno shakespeariano, ne riduce lo spazio a disposizione riservandolo più propriamente ed esplicitamente all’ambito terreno fatto di lingue comprensibili. E in effetti il canto di Bocelli è per la vita terrena, citando dal testo: Nelle tue mani, se vorrai / Il tuo destino avrai! La canzone invita a credere nel proprio sogno, se se ne ha uno, e a credere in se stessi per poterlo realizzare, perché il destino è appunto nelle proprie mani. Nel video compaiono uomini diversi, anche l’attore John Travolta che
guarda significativamente un paesaggio desertico, ci sono tra l’altro potenti motociclette e motociclisti. L’atmosfera generale è trionfale, all’insegna del maschio forte e combattente. Il canto di Andrea Bocelli è ricco di pathos, il cantante cavalca un cavallo che nel controluce appare nero. Avanza in corsa con il muso leggermente piegato in basso. Non è diretto verso nessuna azione umana, è una cavalcata funebre, non verso la vita, ciò che si riallaccia per qualche verso al finale del film. Colpisce l’andamento glorioso della canzone che accompagna il gladiatore nel suo ultimo viaggio – perché della canzone Now we are free si tratta. Il gladiatore di Bocelli porta con sé nell’al di là le sue glorie, il suo senso epico della vita, nulla in sostanza è rimasto dell’interpretazione di Lisa Gerrard, la colonna sonora di Hans Zimmer e Lisa Gerrard è stata arrangiata diversamente, in senso di vittoria terrena. Non c’è nessun aggancio esplicito nelle parole della canzone alla morte. Solo allude al viaggio verso il nulla la cavalcata sul cavallo nero, che non ha una meta umana, verso l’immenso orizzonte terrestre oltre il quale pare non esserci altro che il vuoto, il baratro che frantuma tutti i sogni, tutte le conquiste. L’arrangiamento della canzone cantata Bocelli ha trasformato Now We Are Free, Ora siamo liberi, ossia non più viventi e perciò liberi dalla materia, in una canzone per la vita intesa come combattimento ad oltranza. Nel film e nell’interpretazione della Gerrard, nulla vi è di trionfalistico nella morte, solo un canto di nostalgia e di compassione per la persona che va verso la shakespeariana landa senza ritorno, per il dolore che comunque accompagna la morte delle persone. Nel video della Gerrard le immagini della lotta che mostrano il gladiatore nel pieno del combattimento e dell’energia vitale sono ormai sfumati ricordi che passano forse nella mente dell’eroe morente per cessare completamente a morte avvenuta e comunque sono prive dei suoni e del rumore della vita.
Da una parte un uomo, Bocelli, e il suo senso trionfale anche nel viaggio della morte, in una canzone che, pur conducendo il cavallo nero nel regno dell’al di là, parla della realizzazione dei propri sogni e della necessità di credere in sé. Credere in sé visto l’ultimo viaggio che pone fine ai sogni. Manca nella versione maschile della canzone ogni compassione per il morente, quella compassione di cui vive il canto della donna interprete del linguaggio dell’eternità, dell’infinito che si rivolge al morente, ai morenti. A ciascuno il suo, come recita il detto: ad Andrea Bocelli il canto per la più grande illusione di potenza, a Lisa Gerrard il canto per il senso di mistero della vita e della morte.