Prima di delineare un’introduzione alle linee generali di una possibile Riforma dell’Istruzione tale che non sia un rimaneggiamento ed un camuffamento di quanto è vecchio per farlo qui e là sembrare giovane, credo sia opportuno soffermarci a chiarire la differenza fra rimaneggiamento e riforma, questo perché a quanto ho potuto vedere a proposito del sistema scolastico italiano il termine riforma è usato nell’ambito che è invece di dominio del rimaneggiamento e la differenza tra i due ambiti, a livello di realizzazioni concrete, non potrebbe essere più grande.
Il concetto di rimaneggiamento reca con sé la Spazialità Dinamica (Mascialino 1997 e segg.) di base relativa al mettere di nuovo le mani su qualcosa modificando a frammenti l’oggetto a disposizione senza trasformare sostanzialmente l’oggetto stesso, ossia lasciando l’oggetto com’era prima del rimaneggiamento il quale si risolve in qualche modifica di superficie. Per via dell’impotenza del rimaneggiamento a cambiare alcunché di sostanziale il termine di fatto è non di rado usato in contesti con sfumatura negativa per indicare un lavoro di modifica che non ha cambiato nulla, che ha solo rappezzato e rammendato un tessuto che non muta la sua realtà in seguito agli interventi attuati per cambiarlo. Spesso è qualcosa di malriuscito che mostra quasi sempre il peggioramento dovuto all’inorganicità delle modifiche apportate come aggiunte giustapposte, tagli, spostamenti e simili, attuati mantenendo la struttura e soprattutto la funzionalità generale preesistenti. In Italia ad esempio le cosiddette riforme della Scuola che si sono succedute dopo la Riforma Gentile hanno cambiato il nome di qualche disciplina, hanno attuato qualche raggruppamento diverso di discipline, aggiunto altre di genere tecnico più attuali, hanno alternato nell’esame, denominato da Gentile “di maturità”, da quattro a due poi a tre materie scritte e poi di nuovo a quattro, il colloquio orale su due materie soltanto o su tutte le materie dell’ultimo anno e così via, hanno attuato il passaggio dal punteggio finale in sessantesimi a quello in centesimi, in ogni caso le cosiddette riforme sono state tutte rimaneggiamenti di scarso effetto, incapaci di cambiare alcunché nella struttura e funzionalità dell’esame che è rimasto sempre impostato nello stesso modo sia con due, tre o quattro materie scritte, ossia la sua ossatura unitamente a quella della Scuola italiana è sempre rimasta invariata. Ora l’ossatura della Scuola è data in primo luogo dai metodi e dalla scansione dei cicli di studio, dalla distribuzione delle materie compresa anche l’introduzione di eventuali discipline in aggiunta o l’eliminazione di altre non più utili. Il fatto di chiamare “riforma” il tipo di modifiche citato dà una migliore ufficialità di superficie, ma non cambia la realtà sottostante che è quella del rimaneggiamento e si rimaneggia, per definizione, quanto è vecchio, antecedente, comunque non funzionale.
Il concetto di riforma reca con sé la Spazialità Dinamica del formare di nuovo qualcosa che ha bisogno di essere cambiato o che si vuole comunque cambiare in misura significativa pur mantenendo parti e dettagli della vecchia organizzazione che si possono mantenere. Il concetto di riforma può e deve portare al cambiamento innovativo, altrimenti è consono parlare di rimaneggiamento. Ad esempio, in tema di riforma della Scuola, prendiamo la Germania in quanto il suo sistema scolastico è stato imitato, in special modo per quanto attiene alla formazione professionale, da diversi Paesi europei. Attualmente la Germania vorrebbe organizzare e sta già organizzando una riforma vera e propria, ossia un cambiamento strutturale macroscopico del suo sistema scolastico, che consisterebbe, tra l’altro, nel ridurre i sistemi scolastici attualmente in vigore da sedici, uno diverso per ciascun Land, a due soli sistemi possibili per tutti i Länder. La presenza di corsi e livelli cosiddetti di rendimento, tipici della Scuola tedesca, rimarrebbe in vigore, come pure la libertà di sperimentazione che verrebbe ridimensionata per via delle due direzioni fondamentali del nuovo sistema scolastico una volta riformato in tal senso. Tutto ciò e molto di più onde evitare che nei possibili passaggi da un Land all’altro gli scolari si trovino di fronte a cambiamenti troppo vasti per programmi e testi diversi pur in ordini di scuole magari dalla stessa denominazione. La difficoltà insita nei passaggi a sistemi diversi produce facilmente un danno individuale che si manifesta in un minore profitto e anche nella eventuale perdita di un anno per inserirsi nel nuovo sistema e, secondo la visione della società da parte dei governi tedeschi, con perdita generale in efficienza della società stessa che per questa diversità deve avere a che fare con differenze di preparazione, rallentamenti, competenza non efficace come dovrebbe essere. Occorre al proposito sottolineare che la classe politica in Germania, pur essendo il Paese oggi ai vertici mondiali in ambito scientifico o proprio per il fatto di esserlo, è sempre molto attenta al livello di efficienza del popolo, di ciò che forma l’efficienza non solo dei quadri, ma di ciò che funge da base ai quadri, lo zoccolo su cui si può innestare l’efficienza o l’inefficienza dei piani superiori, dei quadri appunto che devono poter contare su una base eccellente per poter essere essi stessi eccellenti. La Germania, per continuare nell’esempio citato, punta sempre più in alto sia perché Paese dinamico per tradizione, sia perché ha una concezione dell’esistere improntata al progresso culturale e materiale del suo popolo. Per questi motivi essa in linea di massima non vuole perdere nessun possibile talento dei suoi giovani, dei suoi cittadini ed è in questa prospettiva che ha sentito la necessità di rinnovare dalla base l’ordinamento scolastico, adatto finora ad aumentare l’efficienza di società e di progresso individuale, ma non più adatto ora ad essere protagonista di un ulteriore avanzamento.
In Italia al contrario la volontà di fare del proprio meglio per far progredire se stessi e la società tutta è giudicata in genere, mi dispiace doverlo ancora e sempre constatare, non positivamente come dovrebbe, addirittura al punto che eventuali primi della classe non di rado si sentono nella situazione psicologica di vergognarsi di esserlo credendo di avere la colpa di essere i primi, come ho potuto accertare anche nella mia personale esperienza di docente nella Scuola di Secondo Grado. Nel nostro Paese la meritocrazia rappresenta un concetto ingiustamente demonizzato come uno tra i mali più grandi. Questo è potuto accadere grazie all’ignoranza di come stiano le cose con l’intelligenza, ossia a causa della falsa credenza secondo la quale l’intelligenza sarebbe un corredo in dotazione alla nascita, frutto quindi di eventuale ingiustizia per così dire naturale contro cui occorra combattere come si fa contro una malattia. Al contrario, da molto tempo ormai si sa che il corredo genetico della specie, ossia ciò che è in dotazione alla nascita, è pressoché infinito ed ha pressoché infinite potenzialità di cui si possono realizzare e strutturare per il possibile quelle che si desiderano secondo le finalità che si vogliono o si devono raggiungere – e proprio l’educazione a partire dalla prima infanzia è quanto dissoda il terreno secondo le finalità, consce ed inconsce, degli educatori. Oggi si sa dunque che lo sviluppo dell’intelligenza non è un fattore di nascita, dinastico o di censo, ma qualcosa che si costruisce con tenacia e attraverso particolari processi, i processi dell’insegnamento e dell’apprendimento a vari livelli. E si sa anche ormai senza ombra di dubbio che l’intelligenza non è un prodotto della tentazione del diavolo. La conseguenza di queste nuove conoscenze è che tutti non solo possono costruire la propria intelligenza, ma che è cosa buona divenire intelligenti in quanto mostra l’impegno profuso dall’individuo verso il meglio e si sa dunque che tutti hanno il diritto di costruire la propria intelligenza per sé nonché il dovere di costruirla oltre che per sé anche per gli altri. La cosa interessante è che bisogna appunto costruirla, da sola non cresce, da sola realizza le poche cose che il vivere quotidiano estrae dal potenziale. Uno degli effetti peggiori di questo equivoco imperante ancora in Italia è che esso di per sé sembra proprio giustificare e fondare la presenza di disuguaglianza insuperabile tra gli individui, così che esso spegne la fiducia in se stessi e la gioia di fare e spesso stronca il coraggio di competere, un equivoco buono a suscitare frustrazione e invidia tra i discenti divisi in intelligenti e non intelligenti per volere di un misterioso destino: dove si crede che i giochi siano fatti all’origine, si crede anche che con la meritocrazia verrebbero premiati i più fortunati, tutto in equivoco su equivoco dovuti ad ignoranza e talvolta malafede.
Non ci sono pertanto scusanti per continuare a protrarre questa ignoranza in materia di intelligenza, la classe politica non può continuare a promuovere concetti errati come l’equivoco sulla natura dell’intelligenza, deve aggiornarsi, deve necessariamente essere informata se vuole condurre avanti il Paese e non mantenerlo nello stallo, nell’anacronismo, in questo caso nella rassegnazione del singolo alla propria sorte meno fortunata di quella di altri che sarebbero più fortunati per natura. E non si dovrebbero accettare dei politici che in un regime democratico si permettano di smentire conquiste scientifiche accertate, come è capitato con l’evoluzione alcuni anni fa, quando un politico si è permesso di scagliarsi contro l’evoluzione negando la sua validità sulla prima pagina di tutti i giornali e affermando che essa era ormai solo cosa da professorini di scuola media, offendendo in aggiunta tanti insegnanti che facevano e fanno umilmente e con dedizione il loro duro dovere nelle scuole.
Come accennato, il sistema scolastico tedesco è stato al centro di tante imitazioni proprio per i risultati positivi che ha prodotto. Il fatto che l’imitazione non abbia in genere avuto il medesimo successo che il sistema scolastico tedesco ha avuto in patria, anzi in molti casi sia fallita specialmente per quanto attiene alla formazione professionale di competenza diretta della Federazione, non dei singoli Länder, e da sempre fiore all’occhiello della Germania, è da ascriversi al fatto che la macchina scolastica tedesca funziona in una società impostata all’efficienza dalle sue fondamenta. Per chiarire: sarebbe mai possibile costruire un grattacielo su fondamenta adeguate ad una palazzina o addirittura ad una capanna? Anche l’Italia ha imitato ad esempio qualche tratto dell’esame di maturità tedesco, qualche sua parte di superficie che, avulsa dalla distinzione tra corsi di base e di rendimento e livelli di rendimento, nonché dalla metodologia didattica di base propria dell’ordinamento scolastico tedesco, ha potuto solo impoverire drasticamente la scuola italiana già per tradizione poggiante su fondamenta scavate per modeste costruzioni. L’accesso a qualsiasi facoltà universitaria come a seguito della Riforma Sullo del 1969 da una Scuola italiana così impoverita ha impoverito a sua volta altrettanto drasticamente il livello dell’università stessa e si è dovuto constatare che il rappezzo fornito dall’introduzione del numero chiuso non vi ha posto rimedio.
In ogni caso, tornando al concetto di riforma, non fanno parte di esso cambiamenti per così dire puramente estetici, ossia gli spostamenti dei mobili che non cambiano l’arredamento e rimestano ciò che c’è già. Dove si deve quindi intervenire con urgenza in una riforma che voglia dirsi tale oggi è, va ribadito, nella struttura generale e soprattutto nei metodi di insegnamento che vanno cambiati in quanto, forse consoni un tempo, non lo sono ormai più – il regno dell’assoluto o degli assoluti non c’è da nessuna parte. Sono di fatto prevalentemente i metodi che fanno una buona o una cattiva Scuola.
Venendo a questo opuscolo relativo alle Prospettive Generali per una Riforma dell’Istruzione, anticipo che in esso non viene imitato il modello tedesco in auge finora né quello in trasformazione per il futuro, né vengono imitati i sistemi scolastici di altri popoli. È stata evitata in linea di principio l’imitazione di altri sistemi in quanto molto grande sarebbe il rischio di fallire data la presenza di troppo diversi tessuti culturali tra i vari popoli. In questo opuscolo viene offerta una prima delineazione, solo allusiva e tutta da sviluppare in senso generale e di dettaglio in studi singoli e specifici, di alcune delle direzioni in cui si dovrebbe muovere una possibile Riforma dell’Istruzione che possa cambiare quanto di pesantemente obsoleto il sistema scolastico italiano rechi con sé, di non più consono ai tempi, tempi in cui, tra l’altro, Internet sta spazzando via i vecchi sistemi informativi rendendo poco utile il nozionismo intrinseco a tante metodologie scolastiche che risultano superate, ovviamente non solo grazie alla presenza della rete, ma anche e soprattutto grazie a questa. Una corrente illusione al proposito: credere che la Scuola tradizionale, adatta ad un mondo senza Internet, possa convivere con Internet senza nulla cambiare. Certo, si può e si deve integrare nella Scuola l’uso di Internet, la sua consultazione, ma la struttura della Scuola come ce l’abbiamo ancora oggi è quella sorta quando non c’era né era prevedibile la rete mondiale dell’informazione elettronica che si aggiorna minuto per minuto sia sul fronte tecnico e scientifico sia su quello politico sia sul fronte di qualsiasi altra area di interesse. I programmi scolastici e le metodologie didattiche ora in uso non hanno la possibilità fisica per così dire di mettersi in parallelo e meno che mai in concorrenza con Internet. Se la Scuola in generale vuole ancora offrire qualcosa ai giovani, se deve ancora esistere come tale – e io dico che deve senz’altro e più che mai continuare ad esistere –, essa può imboccare soltanto una strada: quella della riforma in quanto tale, non del rimaneggiamento, del rappezzamento, dell’espediente, come avviene in linea di massima e più volentieri in Italia, quindi in primo luogo una riforma dei metodi di insegnamento che si pongano come antidoto alla frammentazione offerta, tra l’altro, dall’aumento irrefrenabile delle informazioni e proprio da Internet, frammentazione che non va a vantaggio della formazione dei percorsi logici della comprensione. Se Internet favorisce la diffusione delle informazioni di ogni ambito possibile e immaginabile, certo la prassi della sua consultazione per ogni singolo tema e notizia non favorisce lo sviluppo del pensiero logico, anzi, tende per sua natura a frammentare il pensiero e quindi a spezzare le concatenazioni logiche, a non produrre l’abitudine allo sforzo dell’analisi scientifica e della riflessione e a sostituirlo con l’informazione più che mai polverizzata. Qualora la Scuola continuasse pertanto a proporre prevalentemente nozioni e informazioni, storie tradizionalmente impostate delle varie discipline, non potrebbe che essere sconfitta da Internet che presenterebbe allora un’informazione molto più agevole ed aggiornata e con descrizioni singole di tutti i tipi, dalle più semplici alle più complesse.
Le prospettive generali per una Riforma dell’Istruzione tratteggiate nel presente opuscolo propongono cenni di novità sostanziali in ambito strutturale e metodologico. Si tratta di una riforma indirizzata verso l’alto, non verso il basso come finora alla prova dei fatti si sono dimostrati i rimaneggiamenti realizzati in questo ambito in Italia. Una Riforma tale che i giovani, senza nessuna distinzione di dinastie e di censo e secondo la scoperta dei propri talenti, possano avere i mezzi per sviluppare ed aumentare la loro capacità intellettiva, creativa e di giudizio morale. La classe al potere ha l’obbligo morale e materiale di fornire la chance migliore per le pari opportunità di tutti così che tutti possano realmente sfruttare l’occasione della vita in senso positivo e a rendere onore alla civiltà umana.
Al proposito e come già accennato, è il caso di aggiungere ancora una riflessione sulla capacità di vaglio morale da parte dei giovani la quale non cresce naturalmente, da sola, occorre ribadirlo sempre, va seminata e curata nel suo sviluppo. Dunque si assiste oggi abbastanza di frequente – lasciamo adesso stare il passato – alla perdita di non pochi giovani su questo piano. Vi sono alcuni giovani, e comunque sempre troppi, che non sanno dare un giudizio morale e che per questo sviluppano la più deleteria indifferenza morale. Sono giovani che non hanno interessi che vadano oltre il livello elementare esistenziale – a parte le pretese – e che altro non desiderano che denaro facile e tirano a campare lavorando perché devono e dovranno, dando pertanto il meno possibile nel lavoro che saranno costretti a fare. Sono giovani abituati dalla loro infanzia e fanciullezza a restare attaccati allo schermo televisivo o allo schermo dei videogiochi, ossia a sostituire la vita con mondi virtuali già pronti e privi di possibilità di sviluppare la logica ed il senso critico che su di essa poggia, mondi virtuali che non sono frutto della loro fantasia e della loro creatività, ma di livello audiovisivo, passivo e particolarmente pericoloso in quanto ingannatore, capace di dare l’illusione di stimolare una o l’altra attività mentale, dunque del livello che meno si confà alla costruzione dell’intelligenza, della moralità migliore, quello che meno si confà all’approfondimento di qualsiasi cosa. Certo i primi e più importanti responsabili di tali abitudini nei giovani sono i genitori, i quali sono preposti all’educazione dei loro figli fino alla maggiore età e che invece non sanno dare e non danno l’educazione che devono dare, un’educazione che deve essere positiva e ricca di insegnamenti, genitori che non sono capaci di seminare interessi nei loro figli che invece abbandonano con troppa leggerezza alla compagnia degli audiovisivi, sostituti della vita. Ora la Famiglia e la Scuola non possono stare a guardare l’invecchiamento mentale precoce dei loro giovani non accorgendosi di quanto sta verificandosi o prendendosela di volta in volta con Internet o con il cinema violento o simili e magari sognando ipocriti ed assurdi proibizionismi non solo anacronistici oggi, ma del tutto inutili e anche dannosi alla libertà di ciascuno.
Tornando ora più specificamente alla Scuola, occorre che essa dunque provveda i suoi giovani della capacità del vaglio logico e morale, quest’ultimo radicato nel migliore sviluppo e potenziamento dell’intelligenza a livello linguistico.
Certo, il male non potrà sparire dalla faccia della Terra neanche con tutte le riforme dell’istruzione che si possano produrre e nessuno anche solo pensa che ciò possa mai avvenire, ma una Scuola che faccia il suo dovere, oltre che genitori responsabili del destino dei figli essendo essi coloro che li trattano nell’età infantile e che seminano le piante che poi, lo vogliano o no, fioriranno nell’adolescenza mostrando inequivocabilmente la natura della pianta seminata al di là di ogni ipocrisia, di ogni finzione perbenista, una Scuola che faccia dunque quello che è il suo dovere restringerà senz’altro lo spazio all’attecchimento della stasi nei giovani, della loro resa alla frustrazione, della loro rassegnazione al piccolo orizzonte privo di vista panoramica, dell’invecchiamento precoce della loro mente.